mercoledì 4 agosto 2010

Alloctonia e specie invasive - due diverse prospettive 1 di 2


I temutissimi zebra mussels, questa specie di mollusco d'acqua dolce ha colonizzato in gran numero la regione dei grandi laghi nordamericani, incrostando strutture e creando danni non solo all'ecosistema (Photo: wikipedia)

Preparatevi perche' questo e' un articolo lungo e dettagliato. In teoria aspira a definire una volta per tutte la questione, in pratica per presentare tutti i punti salienti con pari dignita' mi e' toccato scrivere un papiro..
Anzi, ho perfino dovuto spezzare l'articolo in due per non essere prolisso. La seconda parte online appena possibile.

Dopo una breve premessa di carattere generale vedremo quali sono le correnti di pensiero all'interno della comunita' scientifica internazionale. Nella prossima puntata vedremo invece quali sono le azioni piu' comunemente intraprese (ed alcune meno) e il dibattito legato a questi programmi.

L'ISSG (un organismo dell'IUCN) e' un ente che si occupa di monitorare le specie invasive in termini di area e di impatto sulle specie locali e di diffondere il piu' possibile le conoscenze disponibili su di esse.
L'ISSG pubblica anche una lista di 100 specie tra le piu' invasive al mondo (http://www.issg.org/worst100_species.html). E' soltanto una lista rappresentativa, gli organismi sono stati scelti per il loro significato e per esemplificare i diversi tipi di impatto che possono avere sugli ecosistemi.
Non e' una classifica in senso stretto nel senso che non c'e' un primo o un centesimo posto e nel senso che molte specie che non sono state inserite nella lista sono altrettanto perniciose.

Come potete vedere sono rappresentati molti animali acquatici ma anche piante, mammiferi, insetti etc.
Innanzitutto distinguiamo: ci sono specie introdotte accidentalmente (per esempio nelle casse di zavorra delle navi o fuggite da allevamenti) e specie che invece vengono immesse volontariamente (per biomanipolazione o per pesca sportiva etc.).
Questa distinzione non interessa all'ISSG (se non marginalmente) ma sara' uno degli elementi necessari per considerare la problematica sotto tutti i punti di vista.

Il lavoro all'ISSG e' gia' complicato cosi' com'e', il problema e' sempre il solito: come fare a misurare nel dettaglio qual'e' l'impatto provocato dalla specie introdotta quando ci troviamo in situazioni dove le introduzioni sono soltanto una delle variabili che condizionano le popolazioni e le specie introdotte in contemporanea sono piu' di una? Ci troviamo di fronte a un proverbiale nodo gordiano, quasi insolubile anche prendendo in considerazione ambienti molto limitati, oligotrofici, senza interventi umani e con poche specie.

Una soluzione potrebbe essere utilizzare la regola del dieci nel dieci, secondo Williamson solo il 10% delle specie introdotte in un nuovo ambiente attecchisce e si stabilizza e di queste solo il 10% produce un reale danno sull'ecosistema. Gozlan e il suo gruppo di lavoro sono molto d'accordo con questa regola, confermata da database di larga scala (tipo FAO) che purtroppo sono anche quelli meno aggiornati. Peccato che, quando si vanno a guardare i dati reali, la regola di Williamson si scopre per quel che e': una rozza approssimazione fatta a braccio, e molto in difetto.



La pulce d'acqua Cercopagis pengoi, una delle pesti piu' pervicaci (ISSG)


Tutto si basa sul profitto e il diverso angolo di approccio, se una specie alloctona produce benefici oltre che danni si tende a considerare non cosi' dannosa.
A volte portandola all'estremo, fino a giustificare introduzioni obbiettivamente disastrose come il perca del nilo nel lago Victoria con lo sviluppo di nuove fisheries. Oppure addirittura come fa Briggs che valuta l'invasione di specie dal mar rosso al mediterraneo come positiva perche' alimenta l'industria del pescato, arrivando addirittura a proporre di immettere specie dall'oceano Atlantico al Pacifico (proposte ovviamente osteggiate dalla maggior parte degli scienziati).
In quest'ottica il danno ambientale e' difficilmente quantificabile e quando viene valutato viene stimato in pochi milioni di dollari, mentre i profitti derivati all'industria della pesca sportiva o professionale sono facilmente rilevabili e si collocano almeno ad un ordine di grandezza piu' in alto, nelle decine di milioni.

Sempre che un giorno gli ecosistemi lo abbiano ancora, un cartellino del prezzo.

Un esempio molto semplice, seppure in grande scala, che smentisce anche questo tipo di approccio e' quello delle lamprede nella regione dei grandi laghi. Le lamprede di mare apportano un danno calcolato in 500 milioni di dollari all'anno ad un'industria che ne muove 4 miliardi all'anno. Ogni anno vengono spesi 20 milioni di dollari per il controllo (10 in ricerca + 10 in immissioni) e questa spesa riduce di gran lunga l'impatto, anche economico, sull'industria.


Una trota di lago (Namaycush) con attaccata una lampreda (Great lakes commission, Fisheries)

Secondo la stessa linea di pensiero di Gozlan, espressa da altri autori, l'introduzione di nuove specie aiuta la biodiversita' perche' "ci sono piu' specie anche se qualcuna endemica si estingue", come a dire che non importa se la meta' delle specie di un ecosistema sono alloctone, l'importante e' avere piu' specie ad ogni costo.
Ora soltanto recentemente si e' delineata una situazione che vede una ristretta minoranza di scienziati (Gozlan, Didham, Sagoff, Newton) chiedere prove molto piu' robuste e definire una specie introdotta dannosa quella che "provoca un cambiamento misurabile in biodiversita' o un cambiamento nel funzionamento dell'ecosistema".
Ovviamente di prove di questo tipo ce ne sono un bel po' per quasi tutte le introduzioni ma non si riesce ad andare nel dettaglio per i problemi di cui abbiamo discusso sopra e in altre occasioni. Una richiesta di questo tipo e' comunque senza dubbio legittima, posto che non faccia abbandonare le cautele precauzionali che sono in vigore attualmente.

Secondo Simberloff (e la maggioranza della comunita' scientifica) infatti, una specie deve essere considerata potenzialmente dannosa fino a che non ne viene dimostrata l'innocuita'. Anche perche' lo stesso discorso della mancanza di prove schiaccianti fatto per le specie alloctone puo' per assurdo essere applicato anche ad altre cause manifeste (es. inquinamento, livelli idrici etc.) che palesemente danneggiano gli ecosistemi.
Diciamocelo, nessuno di noi dubita che sversare inquinanti in un fiume sia dannoso, ma quanti potrebbero dimostrare, dati alla mano, che sul lungo periodo questo sversamento causi perdita di biodiversita'? Forse nessuno.
Questo vuol dire che non sia una causa concreta? Assolutamente no. Vuol dire che dobbiamo sviluppare nuovi modelli e nuovi metodi che descrivano meglio la situazione e ci permettano di fare previsioni migliori.

In conclusione la comunita' scientifica al momento e' divisa tra una larga maggioranza che considera l'alloctonia un grosso problema e una ristretta minoranza che solleva questioni piu' o meno meritevoli sull'effettiva pericolosita' delle specie invasive.

Nel prossimo episodio vedremo nel concreto alcuni esempi di introduzione di specie in ecosistemi acquatici (acqua dolce e salata) e le problematiche che essi comportano.

Bibliografia:
- Arlinghaus vari articoli
- Courtenay vari articoli
- Briggs 2010
- Galil 2007
- Courtenal et al. 2010
- Nico & Fuller 1999
- Crossman 1991
- Kohler & Courtenay 1986
- Gozlan 2008
- Gozlan et al 2010
- Williamson 1996
- Briggs 2008
- Simberloff 2007

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